domenica 22 aprile 2012

NordaSud itinerario lunare



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Di Simone Giorgino

Vittorio Bodini e Tomas Tranströmer, due poeti geograficamente molto distanti ma stilisticamente più vicini di quanto si possa pensare. Il primo è considerato, a ragione, oltre che un eccellente ispanista, il maggiore poeta salentino del Novecento; il secondo, premio Nobel per la letteratura 2011, è il più grande poeta svedese vivente, autore di culto anche all’Estero dove vanta traduzioni in quasi cinquanta lingue, molto apprezzato sia dai lettori - il suo ultimo libro, Sorgegondelen (La gondola a lutto), è stato tirato in Svezia in ben 30.000 copie -, sia da autori eccellenti come Derek Walcott, Seamus Heaney e Iosif Brodskij.
Tranströmer, “attraverso le sue immagini condensate e translucide – si legge nella motivazione del Nobel – ha offerto un nuovo accesso alla realtà”, ed è proprio attraverso la concentrazione del dettato poetico e il sapiente e intenso uso di metafore che il poeta svedese riesce a creare veri e propri microcosmi linguistici, arrivando ad affinare la sua arte poetica regolata dalla disciplina metrica e dalla rigorosa concisione imposta dall’haiku.
Bodini (1914 – 1970) e Tranströmer (1931) fanno il loro esordio più o meno nello stesso periodo, e cioè nei primi anni Cinquanta. Entrambi i poeti sono affascinati dalla poesia surrealista ed ermetica; entrambi filtrano la realtà che hanno di fronte grazie alle particolari e sensibili antenne di cui sono dotati; entrambi trasformano il paesaggio, siano la natura e l’architettura barocca del Salento, siano i freddi scenari scandinavi, in condizione esistenziale, in esperienza interiore, convertendo, così, il territorio di origine in intimo bagaglio culturale; entrambi, infine, sono accomunati da scelte formali e tematiche, come, ad esempio, il tema del passato che riaffiora, metaforizzato ricorrendo all’immagine del reperto archeologico (il “Bockstensmannen” di Elegia in Tranströmer o le “dentature di cavalli/ uccisi” rivangate da Bodini in Foglie di tabacco), che testimonia l’immanenza della Storia nel presente, o il grande valore iconico che assume, nella loro poesia, la luna, evocata più d’una volta a rischiarare la bellezza dei loro versi.
Se Bodini è il poeta della luna (“Scrivo senza mangiare, senza indirizzo./ Scrivo poesie alla luna”), come rivelano finanche i titoli di due celebri raccolte, La luna dei Borboni e Dopo la luna, Tranströmer ne è un devoto guardiano notturno, cantore sapiente della sua bellezza rarefatta: “Stasera nevischio, chiaro di luna. La stessa medusa/ di luce lunare si dibatte davanti a noi. I nostri sorrisi/ sulla strada di casa”, “scorre la notte/ da est a ovest svelta/ come la luna”, “Querce e luna./ Luce e stelle silenti. / Il mare freddo”. Al canto de L’usignolo di Badelunda, che nella poesia dello svedese affila “la luminosa/ falce del cielo notturno”, risponde il canto dell’allodola bodiniana, “L’allodola e la luna sole nel cielo: / lei sorta appena e il passero spaurito / dal pino nero e i silenziosi spari dei finti cacciatori”. Sogno e realtà nella poesia di Bodini e di Tranströmer spesso si mescolano senza soluzione di continuità, e i sogni superano agilmente qualsiasi distanza culturale e geografica: “in ogni provincia vorticano semi dorati/ intorno a vecchie colpe”.


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